Edward Hopper nacque a Nyack una cittadina sul fiume Hudson, a sud-est dello stato di New York nel luglio del 1882. Già all’età di cinque anni Hopper dimostrò propensione e abilità non comune nel disegno. I suoi genitori, scoperta questa dote, lo incoraggiarono facendogli leggere riviste e libri sull’arte e così nel 1900 cominciò a frequentare la New York School of Art, diretta da William Merritt Chase, seguace dell’impressionismo europeo. Dopo Parigi, nel 1907 si recò in viaggio a Londra, Berlino e Bruxelles. Nel 1909 tornò a Parigi e vi rimase da marzo ad agosto, risiedendo nel Quartiere Latino. La Senna che scorreva poco lontano e le numerose imbarcazioni gli diedero ispirazione per i quadri di ambiente parigino. Dipinse a Saint-Germain-des-Prés e a Fontainebleau facendo emergere dalla lezione impressionista uno stile personale ed inconfondibile, formato da precise scelte espressive e compositive: Hopper veniva attratto per lo più da Manet, Pissarro, Monet, Sisley, Courbet, Daumier, Toulouse-Lautrec e dal più antico Goya. Hopper utilizzò composizioni e tagli fotografici simili a quelli degli impressionisti che aveva visto dal vero a Parigi, ma di fatto il suo stile fu personalissimo e imitato a sua volta da cineasti e fotografi, molti cartelli pubblicitari del periodo ricalcavano la sua impronta artistica presente nei suoi dipinti. Hopper fu pittore e artista di architetture nel paesaggio, di strade, di città, di interni di case, di uffici, di teatri e di locali. Le immagini hanno colori brillanti, ma non trasmettono vivacità. Gli spazi sono reali, ma in essi c’è qualcosa di metafisico che comunica allo spettatore un forte senso di inquietudine. Non a caso André Breton lo paragonò a Giorgio De Chirico in un’intervista pubblicata su View nel 1941. Le luci sono fredde, taglienti e volutamente “artificiali”, l’impostazione è rigorosamente geometrica, i dettagli, sintetizzati all’estremo. La scena è spesso immersa nel silenzio, assai raramente vi è più di una figura umana, e quando ve ne è più di una, sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità tra i soggetti, come nel quadro “i nottambuli”. Gli atteggiamenti stessi dei personaggi o la direzione dei loro sguardi “escono dal confine del quadro” e sembrano rivolgersi a qualcosa che lo spettatore non vede. Di Edward Hopper è stato detto che sapeva “dipingere il silenzio”. Particolare spazio nelle sue opere trovano le figure femminili, cariche di significato simbolico, assorte nei loro pensieri, con lo sguardo perduto nel vuoto o nella lettura, si offrono spesso seminude ai raggi del sole trasmettendo solitudine, attesa, inaccessibilità.